Segretario Regionale: Luca Barutta

Il Sole 24 Ore Sanità - 14 aprile 2015

La survey di Anaao GiovaniSE IL LAVORO DIVENTA UNA GUERRA. La survey Anaao Giovani sui carichi di lavoro eccessivi causati dal definanziamento del Ssn pubblicata su Il Sole 24 Ore Sanità.

I grafici della Survey di Anaao giovani

Un medico sottoposto a un carico lavorativo eccessivo, in una situazione critica di forte disagio umano e professionale. Un professionista sotto stress, che vive la propria attività lavorativa come causa importante di ripercussioni negative sulla sua vita privata, che gestisce da solo dai 12 fino ai 22 e più pazienti al giorno, che svolge dalle 7 alle 16 guardie al mese, con un numero di guardie notturne che va dai 4 agli 8 turni, che spesso, per problematiche organizzative connesse alle carenze d'organico, è costretto a lavorare anche dopo il turno notturno, che non riesce a usufruire della pausa pranzo in orario di lavoro, che non ha tempo per coltivare un hobby o uno sport, accumulando oltre 150 ore annue di straordinario, che difficilmente potranno essere recuperate o monetizzate.

È l'identikit dei camici bianchi ospedalieri che emerge dalla survey promossa da Anaao giovani. Un monitoraggio che svela le conseguenze su più livelli di una «deregulation» dell'orario lavorativo. Anche quelle sulla salute fisica e mentale del medico che, oltre a soffrire di malattie cardiovascolari e metaboliche, presenta rilevanti disturbi del sonno e psicologici. Infatti, se la traduzione letteraria dall'inglese del termine burnout corrisponde a “bruciato” e “fuso”, la nostra survey dimostra inequivocabilmente che il medico di oggi, indipendentemente dall'età, è un professionista emotivamente labile o più semplicemente stressato.

Le finalità della survey. La terza survey di Anaao giovani lanciata on-line l'8 ottobre 2014 e conclusa il 28 febbraio 2015 si è concentrata sulle problematiche connesse all'aumento dei carichi di lavoro tra i medici operanti nella sanità pubblica. Il progressivo de-finanziamento del Ssn (le Regioni hanno stimato tagli intorno ai 31 miliardi di euro dal 2010 al 2014) ha determinato importanti riduzioni delle dotazioni organiche attraverso processi di riorganizzazioni, prepensionamenti e blocco del turnover. Progressivamente e inevitabilmente la conseguenza è stata quella di un aumento dei carichi di lavoro per i medici rimasti in servizio. A ciò si aggiunga che il mancato ricambio del personale medico produrrà ulteriori effetti negativi, in un futuro molto prossimo, a causa della mancata trasmissione inter-generazionale delle conoscenze professionali e tecniche. A parità di costi, la maggiore utilizzazione della forza lavoro ha determinato un aumento del numero delle prestazioni pro-capite a scapito di un evidente peggioramento delle condizioni lavorative divenute più gravose e rischiose.

Come già precedentemente segnalato da un report Anaao, un incremento importante e prolungato dell'orario di lavoro è associato non solo a un peggioramento oggettivo delle performance cognitive e a un incremento del rischio clinico, ma anche a un incremento del rischio di malattie per gli operatori e della sindrome da burnout. Il burnout, tradotto letteralmente dall'inglese in “bruciato”, “fuso”, indica una condizione di esaurimento emotivo che colpisce prevalentemente gli operatori di professioni a elevato investimento relazionale come quelli del settore sanitario. Il medico o infermiere sottoposto a carichi di lavoro e stress eccessivi inizia a perdere progressivamente l'empatia fino al raggiungimento della “morte professionale”, ossia la completa indifferenza verso la propria professione. E tutto ciò, oltre ad avere degli evidenti effetti drammatici sul piano individuale, ha degli indubbi effetti negativi particolarmente sul piano organizzativo e lavorativo con il calo della qualità del servizio, il calo della performance e l'aumento dell'assenteismo.

Modalità di campionamento e caratteristiche del campione intervistato. La survey ha coperto l'intero territorio nazionale. La popolazione è stata suddivisa seguendo la classificazione abitualmente adottata dall'Istat, ovvero Centro (Umbria, Toscana, Lazio e Marche), Meridione (Molise, Puglia, Calabria, Basilicata, Abruzzo e Campania), Isole (Sardegna e Sicilia), Nord e restanti regioni. Esattamente come per le precedenti è stata diffusa attraverso social network come Facebook e Twitter, linkando la stessa in gruppi di medici afferenti a diverse specialità, attraverso email prevalentemente aziendali di medici, attraverso newsletter su testate mediche specializzate e sul sito Anaao Assomed. Il bias (lo scostamento) dell'indirizzo Ip e dell'indirizzo rispondente è stato pressoché nullo avendo incrociato i due dati, così come irrilevante è stata la possibilità di risposte da parte di individui estranei alla nostra professione vista la specificità delle domande. Non tutte le domande sono state completate ma i dati ottenuti sono stati considerati attendibili perché il bias è stato sterilizzato dalla numerosità del campione.
Hanno risposto al nostro questionario 1.925 medici con una relativa omogeneità nei sessi (il 43,68% dei responder è di sesso femminile, il 56,32% di sesso maschile). Per quanto riguarda l'età il nostro campione è maggiormente rappresentativo (827 medici) della fascia di età tra i 51 e i 60 anni pari al 42,96% del totale degli intervistati, 431 (22,39%) sono invece i responder appartenenti alla classe di età tra i 41-50 anni, 291 (18,75%) quelli della classe di età tra i 30-40 anni e 280 (14,55%) quelli con età \><TH>di 60 anni. Solo 26 (1,35%) sono rappresentativi della classe medica con età inferiore ai 30 anni (grafico 1).

Questo dato è in linea con il fatto che l'Italia è nel panorama europeo al primo posto per il numero di medici over 50 (età media medici Ssn 50,3).
La maggior parte degli intervistati esercita la sua attività professionale in una Regione del Nord Italia (852 pari al 44,23%). Il 35,05% (674) lavora in una regione del Centro Italia, l'8,88% (171) lavora in una delle Isole e solo l'11,84% (228) in una regione del Sud Italia. Le Regioni più rappresentate sono l'Emilia Romagna (14,6%) seguita dal Piemonte (14,34%), dal Veneto (10,81%) e dalla Lombardia (9,97%). Hanno inoltre prevalentemente risposto medici che lavorano in grandi centri urbani (Torino 9,36%, Roma 7,48%, Milano 3,48%). Analizzando la distribuzione delle risposte bisogna per prima cosa evidenziare come la domanda non richiedeva la regione di nascita ma la regione dove si prestava l'attività lavorativa. Negli anni la riorganizzazione ospedaliera, con i tagli imposti dai piani di rientro ha prevalentemente interessato le Regioni del Sud determinando una migrazione verso le regioni del Centro-Nord. Inoltre la maggior parte delle Università è concentrata proprio nel Centro-Nord.

La condizione contrattuale. Ai nostri intervistati è stato anche chiesto quale tipo di contratto di lavoro avessero (determinato, indeterminato, atipico, di formazione specialistica o di specialista ambulatoriale) e da quanto tempo (meno di 5 anni, tra i 5 e i 15 anni, oltre i 15 anni). Questo per valutare se anche la mancanza di certezze in ambito lavorativo specie con i contratti a tempo determinato o atipici possa influire negativamente sulla percezione dei carichi di lavoro e favorire l'eventuale sviluppo della sindrome da burnout. In linea con l'età anagrafica dei responder, la maggior parte ha un contratto a tempo indeterminato da più di 15 anni (56,34%) e quindi assunto prima del 2000 (58,25%). Solo il 7,17% ha un contratto a tempo indeterminato da meno di 5 anni. Nel complesso il 90,25% degli intervistati (1.738) è comunque titolare di un contratto a tempo indeterminato. Solo lo 0,42% dei responder ha un contratto da specialista ambulatoriale e solo l'1,19% ha un contratto atipico (Co.Co.Co, Co.Co.Pro, interinale, libero professionale). L'esiguo numero di riposte da parte di questa categoria di professionisti è anche dovuta al fatto che la maggior parte di questi non ha ultimato la compilazione del questionario. La motivazioni vanno verosimilmente ricercate nelle caratteristiche stesse della nostra survey che affronta criticità tipiche della “vita” ospedaliera e quindi maggiormente “sentite” dai professionisti ospedalieri assunti con contratti stabili. “Splittando” la popolazione in studio rispetto alla provenienza geografica è possibile rilevare come i medici delle regioni del Nord abbiano raggiunto l'anzianità dei 5 anni in percentuale maggiore (56,8%) rispetto ai medici del centro e meridione (37,6% e 37,1%). Percentuali intermedie sono state riscontrate per i responder delle isole (48,1%).

Andando nel dettaglio per classi di età, i medici (grafico 2) con età inferiore a 30 anni (in totale 26) hanno prevalentemente un contratto di formazione specialistica (92,4%) e solo il 7,6% ha un contratto a tempo determinato. Il numero esiguo di responder non permette di fare stime precise sul tasso occupazionale di questa categoria. In aggiunta, verosimilmente, la survey non ha intercettato i medici laureati che non lavorano ancora.

Per quanto riguarda la classe di età tra i 30-40 anni (361 totali) la maggior parte (45,5% pari a 162 in valore assoluto) dei responder ha un contratto a tempo indeterminato tra 5-15 anni. Il 22,6% (81) ha un contratto a tempo indeterminato da meno di 5 anni, il 17,4% (60) è in formazione specialistica, mentre il 7,5% ha un contratto a tempo determinato (34) e atipico (26). Nella classe di età tra i 41-50 anni (431) il 67% (288) ha un contratto a tempo indeterminato da 5 a 15 anni, il 22% (94) da più di 15 anni e il 6% (28) da meno di 5 anni. Il 4% (19) ha un contratto a tempo determinato e meno dell'1% atipico e di specialista ambulatoriale. L'86% (711) dei responder della classe più numerosa (tra i 51-60 anni) ha un contratto a tempo indeterminato da più di 15 anni, l'11% (91) ha un contratto a tempo indeterminato tra 5 e 15 anni e circa l'1% ha un contratto a tempo indeterminato (11) e determinato (13) da meno di 5 anni. Per la classe di età tra i 61 anni e oltre i 65 anni il 94% ha un contratto a tempo indeterminato da più di 15 anni e il 4% da 5 e 15 anni.
Nel complesso non si sono registrate particolari differenze nella distribuzione dei contratti tra le varie regioni d'Italia e in particolare tra le quattro macro-aree (Nord, Centro, Sud e Isole).

Per il 73,59% dei responder da almeno 2 anni non viene assunto alcun medico nella propria Unità operativa mentre per quasi la metà del campione (48%) da almeno 5 anni (grafico 3). Ciò si verifica prevalentemente (40,78%) nelle Regioni sottoposte negli ultimi anni a piani di rientro. In queste Regioni si sono avuti tagli negli organici fino al 15%, sfruttando i pensionamenti, senza una reale programmazione, non compensando la contrazione dei contratti indeterminati nemmeno con contratti a tempo determinato (rapporto Oasi 2014, Cergas Bocconi).

Carichi di lavoro in eccesso. Come indicatori del carico di lavoro sono stati considerati il numero di pazienti seguiti mediamente dal singolo medico: il 54% dei responder visita un numero di pazienti tra 0 e 11, il 20,6% tra 12 e 16, il 25,4% tra 17 e oltre i 22 pazienti (grafico 4). Il numero di pazienti assegnati al singolo medico è maggiore nelle regioni settentrionali rispetto al Centro, al Sud e alle Isole. Questo è verosimilmente da imputare alla politica dei tagli dei posti letto effettuata che continuerà anche con i nuovi standard ospedalieri appena approvati. Coerentemente con questi dati, il 91,95% del nostro campione reputa di essere sottoposto a un eccessivo carico lavorativo se pur la maggior parte degli intervistati (62,54%) non conosce precisamente la definizione dei carichi di lavoro e solo il 37,47% ritiene che la determinazione dei carichi di lavoro per Unità operativa venga utilizzata per il calcolo e la definizione dell'organico. Secondo le nostre conoscenze nessuna o poche Asl utilizzano i carichi di lavoro in modo codificato per il calcolo della dotazione organica.
</CW>Per quanto riguarda i turni di lavoro notturno, il 33,3% degli intervistati effettua da 1 a 3 turni mensili, il 25,5% da 4 a 5 turni, il 10, 8% tra 6 e 7, e il 5% più di 8 turni (grafico 5).
Quasi un terzo dei responder (33 %) svolge attività clinica dopo il turno notturno (grafico 6).
Questo dato è estremamente preoccupante se si considera che l'articolo 7 (Riposo giornaliero) del decreto legislativo n. 66 dell'8 aprile 2003 sancisce per il lavoratore il diritto a undici ore di riposo consecutivo ogni ventiquattro ore. Va da sé che dopo il turno notturno il lavoratore deve necessariamente avere un adeguato periodo di riposo.
Nel complesso sommando i turni di guardia notturni con i turni di guardia diurna (domenica e festivi) più di un terzo degli intervistati (39,2%) effettua tra 7 e 16 turni di guardia mensili (grafico 7). Occorre considerare che l'aumento del numero dei turni notturni incrementa esponenzialmente il rischio di patologie neoplastiche e malattie cardio-vascolari e in assenza di un adeguato periodo di riposo peggiora la performance cognitiva.

Se lo straordinario diventa fattore ordinario. Altro indicatore che la nostra survey ha sondato come possibile fattore inducente lo stress in ambito lavorativo è il numero delle ore di straordinario annue. Quasi il 40% dei responder effettua tra le 150 e oltre 250 ore di straordinario/anno (grafico 8). Un dato estremamente curioso risiede nel fatto che circa il 5,1 per cento non ha idea di quante ore di straordinario effettui durante l'anno.
Secondo l'articolo 5 del decreto legislativo n. 66 dell'8 aprile 2003, il lavoro straordinario è ammesso solo previo accordo tra il datore di lavoro e il lavoratore per un periodo che non superi le 250 ore annuali ed è possibile solamente per garantire la continuità assistenziale ovvero per prestazioni con caratteristiche di eccezionalità, rispondenti a effettive esigenze di servizio. Da ciò deriva come lo straordinario non possa e non debba essere utilizzato come fattore ordinario di programmazione del lavoro (Ccnl integrativo 10 febbraio 2004, articolo 28) cosa che invece appare inconfutabilmente dalla survey. Il 67,8% dei responder attribuisce la necessità delle ore di straordinario alla cronica carenza organica conseguente per più della metà degli intervistati (55,9%) all'incapacità organizzativa degli apparati di Direzione. Solo il 7,5% ritiene di lavorare in condizioni ottimali. Coerentemente con queste deduzioni, ovvero che le ore di straordinario imposte corrispondono a importanti carenze di organico, il 41,7 per cento degli intervistati afferma di non potere recuperare le ore in eccedenza prodotte durante l'anno. Va inoltre segnalato che le stesse ore non sono oggetto nemmeno di una retribuzione economica. Solo il 25% degli intervistati ottiene il pagamento delle ore di straordinario accumulate in regime di guardia attiva o pronta disponibilità.
Se a ciò si aggiunge il mancato adeguamento stipendiale (lamentato dal 30,7% degli intervistati) conseguente al negato scatto di anzianità, per gli aventi diritti appare evidente l'imponente penalizzazione economica subita dai professionisti sanitari negli ultimi anni. Più della metà inoltre non riesce a usufruire di tutti i giorni di ferie previsti nell'anno solare (grafico 9).

Considerazioni finali. In questi ultimi anni caratterizzati da cospicui tagli finanziari, il medico si trova sempre più isolato e privo di quel ruolo sociale goduto nel passato, a difendere il diritto fondamentale alla salute sancito dall'articolo 32 della Costituzione, dovendo far fronte, per giunta, alla ormai cronica carenza di ricambio del personale secondaria al blocco del turnover e a una sciagurata politica di risparmio basata anche sulla de-capitalizzazione dei valori professionali. Possiamo affermare che il burnout e lo stato di salute sono condizioni provocate dallo stesso ambiente lavorativo. Il medico oggi è stretto in una morsa che lo vede vittima e non attore: da una parte, subisce imponenti riorganizzazioni sanitarie che falciano ospedali, posti letto, organici, con dichiarazioni di esuberi che bloccano la possibilità di nuove assunzioni, dall’altra è spettatore di bombardamenti mediatici che annunciano come nel Ssn si annidino imponenti sprechi, ma senza, purtroppo, indicare le reali possibilità di recupero di tali risorse. A noi medici viene, comunque, richiesto di operare senza supporti tecnologici, organizzativi e logistici adeguati, basti pensare che in altri Paesi europei, come la Germania o la Francia, l’investimento nel sistema sanitario è di 30 miliardi di euro superiore e la dotazione di posti letto arriva al 6-8 per 1.000 abitanti, mentre in Italia ci avviamo, con la implementazione dei nuovi standard ospedalieri, al 3,7, comprendendo la post-acuzie e la riabilitazione. I politici che “urlano” alla medicina difensiva e alla mala gestione come fenomeni da contrastare per recuperare risorse, non possono esimersi dal denunciare anche le proprie di responsabilità, come la mancata legiferazione in tema di responsabilità professionale, accettando con coraggio che tali risorse siano reinvestite per l’ammodernamento strutturale e tecnologico del sistema sanitario e in capitale umano che ne rappresenta il bene più importante e insostituibile. Ben vengano quindi le iniziative lanciate da diverse associazioni al fine di ridurre gli sprechi in sanità, coinvolgendo tutti gli stakeholder (cittadini, professionisti, organizzazioni sindacali, politica, aziende sanitarie, ordini professionali). Ne citiamo solo alcune quali “Slow Medicine” con il progetto italiano di “Choosing Wisely” dal titolo “Fare di più non significa fare meglio” e il progetto della fondazione Gimbe “Salviamo il nostro Ssn”, con il quale vengono individuati una serie di principi a favore della sostenibilità del sistema sanitario.

*Andrea Rossi (responsabile Anaao Giovani Veneto)
Paola Gnerre (componente Dir. naz.le Anaao Giovani)
Dario Amati (resp. Anaao Giovani Macro Regione Nord)
Matteo D'Arienzo (resp. Anaao Giovani Emilia Romagna)
Gabriele Romani (Anaao Giovani)
Fabio Ragazzo (componente Dir. naz.le Anaao Giovani)
Carlo Palermo (vice segret. naz.le vicario Anaao Assomed)
Costantino Troise (segretario nazionale Anaao Assomed)
Domenico Montemurro (resp. nazionale Anaao Giovani)

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